giovedì 28 marzo 2019


Mentre metà della città di Roma è bloccata per l'arrivo del presidente cinsese, nella bellissima cornice di Palazzo Massimo alle Terme, una delle sedi del Museo Nazionale Romano, si parla di archeologia e musei durante l'evento "Intorno all'Archeologia", una serie di quattro incontri nel corso dei quali verranno presentati otto libri (e rispettivi autori) riguardanti temi archeologici.



Ognuno di questi quattro incontri ha un tema di base, scelto per raggruppare i libri, divisi per argomenti, con l'obiettivo di presentare testi per creare un dibattito permanente. Il tema della giornata del 21 marzo è stato "Archeologia Narrata" e poneva l'attenzione sulle metodologie e gli strumenti che i musei, i parchi archeologici e i luoghi della cultura in generale usano per comunicare con vari tipi di pubblico.

Protagonisti dell'incontro sono stati i lavori di Cinzia Dal Maso: "Racconti da Museo. Storytelling d'autore per il museo 4.0" e di Lella Mazzoli: "Raccontare la cultura. Come si informano gli italiani, come si comunicano i musei".

Premetto che, sfortunatamente, non ho ancora letto i testi, pertanto vi racconto quello che è stato detto da Patrizia Gioia (Sovrintendenza di Roma Capitale) e Fabio Pagano (Funzionario Ministero dei Beni Culturali e del Turismo), presentatori dell'incontro e da Daniela Porro (direttore del Museo Nazionale Romano) e Mirella Serlorenzi (responsabile di Palazzo Massimo, la gentilissima "padrona di casa").

Vi parlo rapidamente dei due testi presentati perché vorrei focalizzare la vostra attenzione sull'obiettivo degli organizzatori, che era e sarà di creare dibattito ed è proprio della parte del dibattito e dei temi che sono stati trattati che voglio condividere con voi.

"Intorno all'Archeoloia"- 21 marzo 2019


Parto da Cinzia Dal Maso, giornalista, narratrice, ma soprattutto una donna piena di energia e d'idee, che è sempre un piacere ascoltare. Il suo libro "Racconti da Museo. Storytelling d'autore per il museo 4.0", tratta, come si evince dal titolo, di racconti, ma come ha sottolineato Pagano, sono:
racconti, di racconti, di come si cerca di comunicare i musei.
Infatti nel testo vengono raccontate le storie e le esperienze reali di diversi musei, con staff che si adoperano per creare una comunicazione efficace, avvalendosi anche di esperti nel settore.

L'attenzione è posta sullo storytelling, l'arte di raccontare storie come strategie di comunicazione persuasiva, che in chiave archeologica vuol dire avere la capacità di sintetizzare una storia attraverso i reperti e porre quest'ultimi al centro dell'attenzione. Per questo ci vuole un "narratore da museo" e questo libro illustra alcune tecniche che questa figura deve mettere in atto, perché come si legge nella  descrizione ufficiale:
[...] raccontare è un'arte: in realtà un misto di conoscenze, tecnica e arte. E quando il racconto entra in museo, le ultime due devono piegarsi alla conoscenza, essere al servizio del messaggio del museo. La fantasia deve seguire binari precisi. E per fare questo, servono persone capaci di narrare e al contempo dialogare con la ricerca scientifica. Professionisti che sappiano restituire la vita con la penna, i pennelli, la macchina fotografica, la cinepresa, la grafica, la realtà virtuale, i social media.
Ogni strumento possibile, anche quello che non c'è: perchè l'importante non è lo strumento ma la storia.

Lella Mazzoli, professore ordinario, insegna Sociologia della Comunicazione e Comunicazione d'Impresa, presso l'Università di Urbino "Carlo Bo". Nel suo libro "Raccontare la cultura. Come si informano gli italiani, come si comunicano i musei" offre un'analisi compiuta da tecnici e professionisti della comunicazione, quindi non archeologi o storici dell'arte, ma giornalisti e ricercatori dell'Università di Urbino.
Il testo è un insieme di saggi che utilizzano i dati raccolti dall'Osservatorio News-Italia del LaRiCA, attivo presso l'Università di Urbino (dal 2010) e si focalizza sulla comprensione dei mezzi e della modalità utilizzate dalla popolazione italiana per informarsi su temi generali e culturali, esaminando le strategie comunicative che vengono messe in atto da alcuni musei italiani per intercettare i visitatori attuali e potenziali.

Dagli interventi dei presenti e dalle presentazioni dei due testi sono emersi diversi spunti di riflessione che vi riassumo nei tratti salienti nella grafica sottostante.





Con quali mezzi si informa un italiano?

La televisione resta uno dei mezzi più usati, in forte calo i giornali, in crescita i social media.
La televisione ha i suoi costi e non tutti i luoghi della cultura possono accedervi, la carta stampata perde terreno, ma non autorevolezza, i social media sono più accessibili e per adesso più usati per la comunicazione Museo-vari tipi di pubblico.
Comunicare sui social non vuol dire solo fare un post, pubblicare una foto o una storia su Instagram, ma vuol dire molto di più. Questo "di più" deve essere sviluppato da dei professionisti, non solo archeologi che si interessano di comunicazione, ma anche giornalisti che si metto al servizio della cultura.

Ma cosa vuol dire "ci vogliono professionisti della comunicazione all'interno del museo"?
Vuol dire avere un team apposito che studi una strategia che non comprenda solo il post su Facebook, ma tutto un modo per approcciarsi al pubblico, alla struttura da pubblicizzare e al territorio in cui esso è inserito.

Dei corsi universitari potrebbero aiutare in tal senso, ma sento parlare di fare corsi ad hoc per queste tematiche da almeno sette anni e probabilmente, se si sente la necessità di ribadire questo concetto, vuol dire che molto si deve ancora fare (se si escludono i vari Master che sono stati sviluppati sul tema). C'è da dire che alcuni corsi di Laurea in Archeologia hanno provato a colmare questa lacuna, come ad esempio l'Università di Pisa con laboratorio #Comunicarcheo o il corso di Archeologia Digitale, per citarne una.

Durante il dibattito ho fortemente concordato con il pensiero di Fabio Pagano che ha detto:
non ci vuole una nuova figura, ma la creazione di team, dove gli esperti della cultura dialogano con gli esperti della comunicazione.

Concordo con questa affermazione perché, mentre si cerca di capire come l'Università possa adeguarsi a queste nuove figure da creare, si può, anzi, si deve usare quello che si ha, quindi professionisti di entrambi i settori che con la loro professionalità possano creare ottimi prodotti e soprattutto riescano ad attirare l'attenzione di quello che la professoressa Mazzoli ha definito "non pubblico" (per "non pubblico" si intende quella gente che non frequenta abitualmente musei o parchi archeologici e che normalmente non cerca informazioni culturali).

Quindi un archeologo o professionista dei beni culturali non può occuparsi della comunicazione di un luogo della cultura?

Ovviamente no! Se questo professionista ha anche acquisito delle competenze che riguardano la comunicazione, se ha ampliato le proprie conoscenze, può occuparsi della comunicazione di un museo o parco archeologico (come ad esempio già avviene in posti come il Parco di Ostia o il Parco del Colosseo). Del resto nessuno rimane rigidamente nel proprio settore (o almeno in questo caso non dovrebbe), ma ovviamente il confronto con un esperto della comunicazione può aiutare a conoscere i vari tipi di pubblico a cui si deve rivolgere.

In sostanza, non è necessario avere una sola figura iper specializzata, ma è sufficiente avere dei professionisti aperti all'innovazione, che sappiano cosa un museo, un sito archeologico vogliono trasmettere e qual è il modo più efficace per farlo.

Tutta questa discussione ha posto l'accento su un altro quesito: "è giusto fare eventi non strettamente legati all'ambiente in cui si svolgono per attrarre il "non pubblico"? (Ad esempio un concerto di musica pop nelle Terme di Diocleziano). "Si attirano veramente visitatori o queste persone vengono solo per l'evento e poi non tornano più?"

Avrei voluto prendere parola su questo argomento, ma ho preferito solo ascoltare.
Per anni, con l'Associazione culturale Secondi Figli di Pisa, ho portato avanti esperimenti del genere, nel senso fare degli eventi in luoghi storici del territorio toscano e vedere se effettivamente i nostri utenti tornavano a visitare quei posti o se venissero anche solo stimolati ad ampliare le loro conoscenze sugli ambienti utilizzati.
I Secondi Figli si occupano per lo più di giochi di ruolo, ma tra i loro obiettivi c'è utilizzare il gioco come strumento per diffondere cultura. I dati che ho raccolto negli anni hanno portato ad un articolo presentato al convegno Opening the Past 2015, sul tema "Game Over-Ideas for sustainable archaeology", organizzato da Mappa Project e Università di Pisa, dove insieme ad un altro membro dell'associazione, spiegavamo i progetti che avevamo sviluppato all'intenro dei musei, luoghi della cultura e per le strade di Pisa, spingendo studenti e persone che possano rientrare nella definizione di "non pubblico", data precedentemente, a saperne di più sugli oggetti e i luoghi che sottoponevamo alla loro attenzione (vedi "Giochi di ruolo e storia del territorio: nuovi modi per finanziare la tutela e la fruizione dei beni culturali").

Per esperienza posso dire che gli eventi culturali fatti in luoghi dove la cultura vive ogni giorno porta a stimolare anche i pubblici più reticenti ed a creare una rete di rapporti durevoli con associazioni, territorio, istituzioni ed utenti.
La cosa più importante da non dimenticare mentre si crea un evento all'interno di un museo o di un'area archeologica è che la location non deve essere solo una cornice, ma deve essere parte integrante della storia che vuoi raccontare al pubblico.

E si ritorna così al "saper raccontare storie", l'argomento del testo della dottoressa Dal Maso, perché un museo o un parco archeologico non devono essere solo un contenitore di resti del passato, ma un archivio di storie da trasmettere nel futuro.

Inventarsi un "te con l'archeologo", una rievocazione storica, un gioco di ruolo a tema storico o semplicemente una mostra fotografica, serve a dare voce a degli oggetti statici, che da una teca ci guardano e ci vogliono raccontare una storia, o anche più di una, su chi li ha costruiti, chi li ha utilizzati.
I reperti dei musei raccontano la storia degli uomini e sono queste storie che bisogna divulgare per attirare visitatori nei luoghi della cultura.

Queste considerazioni che condivido con voi mi portano a ragionare su altri due argomenti che sono stati discussi durante il dibattito: il "fare rete" e "il migliorare l'offerta attuale dei musei, ad iniziare dalle didascalie", per fidelizzare chi al museo ci va e non far nascere anche in questo tipo di utenti la cosidetta "ansia da museo".

Che cos'è l'ansia da museo?

Tranquilli, non è contagiosa!
Se dovessi dare una definizione scientifica direi che è quello strano senso di pesantezza che ti colpisce più o meno sulla fronte, poco sopra il naso, quando leggendo le didascalie vicino ad un quadro, una statua o un reperto in generale trovi termini non di facile comprensione per i non addetti ai lavori.


Foto tratta da http://www.historialudens.it/component/tags/tag/didattica-museale.html

 Il discorso sulle didascalie mi ha portato indietro di qualche anno e mi è venuta in mente questa citazione:
[...] cosa impedisce in un museo di sostituire un cartellino con la didascalia "frammento policromo di fregio del tempio tetrastilo A- fase II" con un semplice "frammento decorativo colorato del tempio del 250° a. C."? Questo caso - assolutamente vero - evidenzia, in tutta la sua drammaticità, il pericolo dell'autoreferenzialità. Quando scriviamo qualcosa da pubblicare online o da esporre in pubblico, non scriviamo mai per noi o per i nostri colleghi. Questo è un punto fermo dal quale non discostarsi mai.
Per scrivere belle storie bisogna utilizzare le parole giuste. Spesso queste parole non sono roboanti o altisonanti, ma sono semplici e d'uso comune. Spiegare fenomeni complessi con parole quotidiane, che possono capire tutti, che rendono la complessità del mondo e degli eventi semplice, è il vero segreto dei grandi divulgatori.

Il testo che ho citato è stato scritto da Alessandro D'Amore (membro del team di #svegliamuseo in cui riveste il ruolo di storytelling expert), nel 2014 per #Svegliamuseo, "Comunicare la cultura online: una guida pratica per i musei. Progettazione di siti web, content management, social media e analisi dei risultati" (Cliccando sul titolo riportato finirete direttamente sul Ebook, che se volete, potrete scaricare gratuitamente).

Che molti musei o parchi archeologici abbiano didascalie o pannelli obsoleti è un fatto noto a chi frequenta questi luoghi ed a chi ci lavora. E' sicuramente meno nota la difficoltà con cui questi luoghi della cultura cercano di stare al passo con i tempi.
Perché è importante parlare ancora di semplificare le didascalie, quando comunque si sa che si deve fare?
E' importante perché oltre a concentrare le forze comunicative verso l'esterno, verso i media e i social, verso la creazione di eventi, bisogna lavorare sulle cose che allontanano il pubblico.

Un museo, un parco archeologico, un luogo della cultura deve far sentire il visitatore a "casa" e nella propria casa non c'è bisogno di grandi paroloni per comunicare un concetto. Semplificare un concetto non vuol dire sminuire il proprio lavoro o la storia dell'oggetto che si racconta, ma vuol dire fornire dei mezzi basilari per arricchire le conoscenze dell'utente.

Da iniziative come #Svegliamuseo, molto è stato fatto, ma ancora tanto c'è da fare.
I grandi e piccoli musei, i parchi archeologici, le istituzioni legate alla cultura devono utilizzare e sfruttare più che possono tutti i canali a loro disposizione (newsletter, profili social, sito internet), per non perdere nessuna occasione di dialogo con il loro pubblici.
Per farlo devono avvalersi di prefessionisti, ma sopratutto devono allestire gli ambienti, gli eventi, gli incontri, inventandosi sempre nuovi mezzi per creare empatia, suggestione e sentimento.

Tirando le somme sul dibattito che vi ho riportato, mi sono sempre più convinta che il segreto del coinvolgimento sono le emozioni.

Non è una convinzione solo mia, ma anche di tanti altri professionisti e in quest'ottica stanno sviluppando diversi progetti; uno su tutti Fabio Viola, che non a caso ha scritto un libro dal titolo "L'arte del coinvolgimento".

Coinvolgere vuol dire emozionare, rendere partecipe il pubblico che si trova ad immedesimarsi nella storia di altri uomini e donne, che prima di noi hanno fatto le stesse azioni che quotidianamente compiamo tutti, ma con altri mezzi e tecnologie.
Proprio sulle emozioni bisogna lavorare per creare empatia, per far capire al pubblico che quello che si vede nei luoghi della cultura è di tutti e non solo degli addetti ai lavori.

Scale interne del Museo Nazionale Romano- Palazzo Massimo alle Terme


Quest'ultimo concetto mi porta ad introdurre l'ultimo punto del dibattito che vi voglio raccontare: una buona copertua mediatica vuol dire un gran ritorno di pubblico, come avviene per le "giornate del FAI", perché lo stesso non avviene per i musei istituzionali?

E' innegabile che durante la settimana che precede le aperture straordinarie del FAI, la TV ci proponga più volte al giorno pubblicità che riguardano questa iniziativa. Non solo pubblicità, ma anche veri e propri interventi durante le trasmissioni più seguite.
Non entro nel dettaglio delle scelte comunicative del Fondo Ambientale Italiano, ma posso comunque affermare che sicuramente godono di budget destinato a questo scopo, che permette di raggiungere i Media più importanti, che ovviamente hanno un costo che non tutti i musei istituzionali possono coprire.

Sicuramente la televisione raggiunge tutti, soprattutto quei pubblici scarsamente interessati, anche se un passaggio così frequente dello stesso tema può annoiare l'utente e spingerlo a cambiare canale, silenziare il televisore o addiritura spegnerlo.
Il giorno dopo l'evento che vi sto raccontando, ho acceso la televisione e ho trovato proprio uno spazio dedicato al FAI in un programma curato dalla redazione del TG2.

Ho seguito tutto l'intervento e ho analizzato il contenuto di quel messaggio, perché nella mente avevo una domanda: "come e cosa offrono al pubblico?"

Quasi tutti gli interventi all'interno di programmi televisi prevedono la presenza di un attore, attrice personaggio dello spettacolo amico del FAI e un responsabile del fondo.
In questo modo si attira l'attenzione del pubblico che vede il proprio beniamino sullo schermo e si da' autorevolezza alle parole che verranno dette grazie alla presenza del responsabile.

E passiamo proprio alle parole, poche, incisive e chiare, racchiuse tutte nella prima fase:

il FAI ti fa riappropriare degli spazi e dei beni che sono di tutti.

Se già questa frase non ha colpito il pubblico, si rincara la dose con parole come: "accesso gratuito per tutti"; "luoghi del cuore"; "luoghi che ami della tua città, accessibili a tutti"; per arrivare all'affondo finale "ricordatevi che con il FAI il privato diventa pubblico".
Viene ripetuto più volte anche il concetto che quello che si può visitare in queste giornate di aperture straordinarie è roba nostra, quindi donare i soldi al Fondo vuol dire finanziare i restauri per curare una "nostra ricchezza".
Per finire ti ricordano che se vuoi puoi diventare uno dei tanti volontari e fare da guida durante le aperture di posti straordinari del tuo territorio.

Direi che c'è tutto quello che serve per una comunicazione di successo, che non è solo merito del mezzo scelto (la televisione), ma sopratutto delle parole utilizzate. Si parla di sentimento, di coinvolgimento, di collaborazione, temi su cui tutti i musei e parchi archeologici possono fare leva.

Come spesso accade in Italia, ci sono due velocità: alcuni musei e parchi sono già sul pezzo e altri si devono ancora adeguare (altri ancora devono capire che strada vogliono prendere).
Per questo motivo penso che chi si sta adeguando deve guardare a chi già sta realizzando grandi cose e chi sta avanti deve aiutare gli altri a mettersi in pari.

Il Museo di Torino, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Salinas di Palermo, il Parco archeologico del Colosseo, il Parco archeologico di Ostia Antica, il Parco archeologico di Paestum, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, il Museo Archeologico Nazionale di Venezia, il Parco archeologico di Agrigento, sono l'esempio da seguire, istituzioni che hanno intrapreso una trada comunicativa che sta portanto tanti ottimi frutti.

Non importa se chi si occupa della comunicazione sia un archeologo o un giornalista, quello che importa è il lavoro che lo staff di questi musei riesce a fare per ottenre un ritorno di pubblico.

Vorrei concludere questo mio racconto con una delle parole più belle dette durante l'incontro: "contaminazione".
A pronunciare questa parola è stata Angelina Travaglini, che voglio citare perché è l'addetta alla comunicazione del Museo Nazionale Romano e mi ha fatto estremamente piacere sentirle dire che "crede nelle contaminazioni", riferendosi ai divesti modi di approcciarsi al pubblico (come ad esempio mostre contemporanee in musei con opere classiche, oppure concerti in parchi archeologici ecc...).

E' proprio questo tipo di apertura mentale che mi auspico possa diffondersi in coloro che gestiscono i NOSTRI luoghi del sapere, uno stile che genera confronto, crescita, innovazione e nuovi metodi per raccontare storie di uomini ad altri uomini.








I prossimi incontri di "Intorno all'Archeologia" si terranno:


28 marzo 2019 ore 17:00
Archeologia avventurosa
Andrea Augenti: "A come archeologia. 10 grandi scoperte per ricostruire la storia"
Emanuele Papi: "Pietre dello scandalo. 11 avventure dell'archeologia"
Presentano: Enrico Zanini e Astrid D’Eredità

4 aprile 2019 ore 17:00
Archeologia e web
Astrid D’Eredità e Antonia Falcone: "Archeosocial. L'archeologia riscrive il web: esperienze, strategie e buone pratiche"
Elisabetta Giorgi e Massimo Panicucci: "C’era una villa Romana. Cinque archeostorie a fumetti da Vignale di Maremma"
Presentano: Enrico Zanini e Nicolette Mandarano

10 aprile 2019 ore 17:00
Archeologia immaginata
Enrico Giannichedda: "Quasi giallo. Romanzo di archeologia"
Federico Lambiti: "Porta di mare"
Presentano: Mirella Serlorenzi e Daniele Manacorda

Per info: mn-rm.info@beniculturali.it
Intorno all'Archeologia
www.museonazionaleromano.beniculturali.it